15/10/2012 - CONCERTO

Maria Perrotta (pianoforte)

programma di sala application/pdf (655,08 kB)

Maria Perrotta studia a Cosenza con Antonella Barbarossa e si diploma con lode al Conservatorio di Milano con Edda Ponti. Ottiene il Diploma Superiore di Musica da Camera all'École Normale di Musique di Parigi, si perfeziona a Imola con Franco Scala e Boris Petrushansky e in Germania con Walter Blankenheim. Nel 2007 si diploma con lode presso l’Accademia di Santa Cecilia nella classe di Sergio Perticaroli. Arricchisce la sua formazione con Cristiano Burato. Vive a Parigi.

Si afferma in numerosi concorsi fra cui “Rina Sala Gallo” di Monza, “Premio Encore! Shura Cherkassky” (2008) e “J. S. Bach” di Saarbrücken (2004), premio quest’ultimo che la impone sulla scena pianistica come una significativa interprete bachiana, riscuotendo ampi successi di pubblico e di critica: “Maria Perrotta sa sfruttare le risorse del pianoforte moderno senza incorrere in inesattezze stilistiche. Il suono di vitrea trasparenza, la tessitura sempre percepibile, l’interessante articolazione della frase hanno reso la musica di Bach in modo ideale” (Saarbrücker Zeitung); “La Perrotta ha suonato le Goldberg con controllo purissimo di sé e della partitura… pianismo a metà perfetta fra il lussureggiante Alexis Weissenberg e il laser di Glenn Gould» (Libero); “Il suono è sgranato, la tecnica è clavicembalistica, il disegno formale è nitido: se continua così, Maria Perrotta sembra destinata a diventare la Rosalyn Tureck italiana” (Corriere della Sera).

Registra per la Radio Tedesca, la Rai e l’etichetta Classica Viva. La sua recente incisione dal vivo delle Variazioni Goldberg di Bach (Cinik Records) ottiene il favore della critica specializzata: 5 Stelle della rivista Musica, 5 Stelle e Disco del Mese della rivista Suonare News.

Fra i suoi prossimi impegni l’esecuzione del Clavicembalo ben temperato di J. S. Bach, delle ultime Sonate di Beethoven e del Quarto Concerto per pianoforte e orchestra op. 58 di Beethoven con la Filarmonica Arturo Toscanini diretta da Antoni Wit. 

COMMENTI SUL CONCERTO

Paolo Gallarati ha pubblicato una recensione su La Stampa del 18/10/12:
Pianista virtuosa ma naviga ancora a vista. Il terzo stile di Beethoven segna il superamento dei grandi conflitti a favore di una visione più sfumata del mondo e della vita. Le ultime tre sonate per pianoforte (op. 109, 110, 111) ne sono espressione massima. Le ha eseguite Maria Perrotta per la Polincontri Classica, affrontando un’impresa di difficoltà superiore. La tecnica è poderosa ma, nel terzo stile, questa virtuosa naviga ancora a vista: il suo pianismo è tutto forza, irruenza, plasticità; deve arricchirsi di sfumature, leggerezze, trapassi graduali, fosforescenze timbriche. E’ realistico; deve diventare visionario. Giungerà così a una visione globale, per la quale, al momento, ha gettato solide fondamenta.

Maurizio Vallauri scrive:
I giovani "pianisti" di oggi posseggono quasi tutti una tecnica impeccabile, ma quanto a potere eseguire in concerto le composizioni dei Maggiori....beh, dovrebbero avere l'intelligenza di sapere aspettare, aiutati in ciò anche da coloro che organizzano e programmano i concerti.

Brown Gardiner scrive:
Alla fine del concerto ero un po’ “disturbato”, e ho voluto risentirmi le stesse sonate nel Cd di Barenboim per riconciliarmi col Beethoven che pensa, esprime sentimenti altissimi di uomo vicino a Dio, che prega. Ho ricordato anche che la musica è fatta di suoni, ma anche di silenzi. Anzi, i suoni parlano nella misura in cui sono preceduti e seguiti dal silenzio: un silenzio che nasce dentro e che porta a guardare, a cogliere, a riflettere. Ed io i silenzi l'altra sera, non sono riuscito neanche ad immaginarmeli. Neanche nel frastuono del bis. Mi sento ignorante di musica e forse anche un po' presuntuoso, ma sono stato abituato da bambino ad apprezzare sempre la bella musica. Appunto per questo mi auguro che la Perrotta voglia modulare in futuro la sua aggressiva forza che si scatena sui tasti senza soste. Non avrei voluto scrivere, poi sono stato invogliato a farlo per il dialogo auspicato da Attilio Piovano e dal Direttivo

Alberto Spano scrive:
Tre giorni dopo, giovedì 25 ottobre, Maria Perrotta ha ripetuto lo stesso concerto nella storica Sala A di via Asiago 10 a Roma, nell’ambito della trasmissione “La Stanza della Musica” in diretta Rai (ore 21, conduttore del programma Guido Zaccagnini). Il concerto alla Rai di Roma costituisce l’ultima tappa di una breve tournée della pianista che ha toccato Bologna, Milano, Parigi, Parma e Torino e che il 27 settembre ha fatto scrivere a Giampiero Cane sul manifesto: «Maria Perrotta ha un suo stile – che ci piace molto – che consiste nell'affrancamento di queste pagine dalla montagna retorica che le avvolge [...] La Perrotta non mette anima e sentimento, non si finge coinvolta dal paradosso dell'attore, ma suona quanto ha studiato sul pentagramma lasciando che gli edifici sonori si dispieghino secondo la loro propria natura. Ha fatto così all'inizio dell'anno con le Goldberg di Bach come ora con queste pagine di Beethoven. Questo suo modo è fortemente oggettivante e probabilmente è quel che le permette di salvarsi dalla trappola dell'identificazione»

Marco Bertola scrive:
Nella introduzione di Piovano al concerto di Perrotta del 15 ottobre, ricorrono degli aggettivi alle tonalità :
Nella 7° riga al commento alla sonata Op 109 la tonalità di mi maggiore è definita 'dolce'
Nella 9° riga al commento alla sonata Op 110 la tonalità di la bemolle maggiore è definita 'aristocratica'
Nella 2° riga al commento alla sonata Op 111 la tonalità di do minore è definita 'fantomatica'.
Gradirei sapere se la differenza in n. di vibrazioni tra una nota e l'altra è diversa nelle varie tonaliltà, e da cosa possa dipendere la differenza di sensazione acustica, che giustifichi le diverse aggettivazioni.
Grazie e cordiali saluti

Piovano Attilio, in risposta a Marco Bertola, scrive:
La premessa, gentile Marco Bertola, attento lettore-ascoltatore, lodevolmente desideroso di confronto (e La ringrazio di cuore) è che non sono un uomo di scienza (al contrario del prof. Guido Rizzi, del coordinamento organizzativo di Polincontri classica, illustre Docente emerito di Fisica), nello specifico non sono un fisico acustico, e dunque non in termini scientifici potrò risponderLe, bensì da semplice storico della musica (musicologo, critico musicale) o, se preferisce, più semplicemente da innamorato dell'universo della Classica con un minimo di competenza professionale (se mi permette) in tale ambito appunto. E in questo caso Le rispondo in quanto interpellato come autore di commento del testo divulgativo contenuto nel programma di sala del recente concerto di Maria Perrotta.

La seconda premessa - ma già entro nel merito, con un primo abbozzo di risposta (e, visto che accennerò a faccende di ordine acustico non le paia in contraddizione con l'affermazione di poc'anzi) è la seguente: alla sua precisa (e, mi permetta, un poco tranchante) domanda «gradirei sapere se la differenza in n° di vibrazioni tra una nota e l'altra è diversa nelle varie tonalità» rispondo in maniera lapidaria con un secco e lapidario NO, non è diversa. Un la3 (il la centrale della tastiera del pianoforte, per capirsi e per convenzione, o se preferisce e se domina la lettura elementare delle note su rigo, quello che in chiave di violino sta nel secondo spazio) è sempre a 440 (Herz), che si stia suonando per dire in do maggiore, in sol minore, il mi bemolle maggiore, in re diesis minore e via dicendo (E potrei continuare in tutte le tonalità possibili) ecc. ecc. Analogamente un la 4 (all'ottava superiore, per capirsi) sarà sempre a 880 (il doppio) e, ovviamente, un la2 all'ottava grave sarà sempre 220 ecc. ecc. Un do3 sarà sempre 256, un do 4 sarà 512, un do5 1024 ecc. ecc.

Cosa cambia allora nelle varie tonalità? Le tonalità si fondano (perdoni l'approssimazione un po' grossolana, ma de visu e con un pianoforte sotto le dita sarei assai più efficace) su scale, insomma sono della gamme, insomma, sono delle sequenze di suoni (occorre inserire le alterazioni per mantenere sempre la stessa sequenza, nel caso della scala maggiore la più semplice) la sequenza è: un tono, un tono, un semitono, un tono, un tono, un tono, un semitono) . La scala di do maggiore ad esempio = do, re, mi, fa, sol, la, si, do. Il la in questo caso si si dice che è il sesto grado. Bon; se ad esempio utilizzo la scala di fa maggiore (dunque fa, sol, la, sib, do, re, mi, fa confronti lo schema dei toni e semitoni di sopra e vedrà che coincide) il la in questo caso è il terzo grado, ok?

Cosa cambia allora tra una tonalità e l'altra: Busoni, che era un signor musicista, diceva che suonare uno stesso brano in una tonalità diversa è come guardare la prospettiva di un panorama dai vari piani di una casa. Cambia appunto la 'prospettiva', cambia il punto di vista (do re mi fa sol la si do, scherzando primo piano, re mi fa diesis sol la si do diesis re secondo piano e via... salendo). Lasciando stare Busoni, Lei immagini una stessa immagine e gamme cromatiche diverse, l'immagine non cambia, cambia il 'colore'. Ecco lei provi a suonare, o farsi suonare, una melodia semplice ed elementare (fra martino campanaro, do re mi do, do re mi do, mi fa sol ecc.) trasposta in un'altra tonalità (per esempio la bemolle ahi le faccio usare i tasti neri... e allora lab, sib do lab, lab sib do lab, do reb mib ecc.) e sentirà che 'riconosce facilmente (se ha suonato... giusto) il tema, ma il suo colore è diverso, più chiaro se è partito dal lab superiore, più scuro se è partito dall'ottava grave ecc. Ma ribadisco un singolo suono, un do ad esempio, possiede sempre la stessa frequenza, cambia la sua posizione gerarchica nella scala, in do maggiore è la tonica, ovvero il primo grado, in la bemolle è la mediante ovvero il terzo grado).

Lascio per ultimo (... e dire che le avevo promesso un discorso NON tecnico...) l'aspetto più musicale...(e anche quello più affascinante o almeno per me.
Alla sua domanda «da cosa possa dipendere la differenza di sensazione acustica che giustifichi le varie aggettivazioni» provo a rispondere così: un do resta sempre un do, ribadisco, ma l'uso di varie tonalità è un fatto storico (approssimativamente dal tardo barocco al tardo romanticismo, prima il discorso è molto più ... labile... e dopo ivene meno il concetto tradizionale di tonalità...) ergo i singoli musicisti, per dire Mozart, Beethoven e poi Chopin, Schumann, Brahms, quando scelgono una tonalità ne fanno poi un uso espressivo specifico. Ecco allora che spesso - badi bene sulla base della ricorrenza di una stessa tonalità in pagine di ambito espressivo raffrontabile - viene da dire qualcosa del tipo il mi maggiore 'dolce', potrei allinearle decine di pagine che portino acqua a questa mia scelta aggettivale ( e lei potrebbe peraltro elencarmene altrettante in cui altri autori hanno bensì usato il mi maggiore, ma per brani non necessariamente dolci...) e questo fa parte della soggettività, potrei affiancare - per capirsi - all'aristocraticità del la bemolle della 110 citata il la bemolle (analoga cifra espressiva, analogo colore) del movimento lento della Sonata op. 13 Patetica sempre di Beet. Per il do minore 'fantomatico' pensi al do minore della stessa Sonata Patetica (primo movimento e anche ultimo) pensi al do minore della Quinta Sinfonia, se va un po' indietro e sceglie Mozart pensi al Concerto o K 491, o ancora Beethoven Terzo Concerto per pf. o Chopin ultimo Studio pianistico (quello detto rivoluzionario...)

Dunque l'uso di aggettivazioni (come quando si dice che di un quadro l'autore ha usato un blu cupo, o un arancio squillante o un oro antico o un verde smagliante...) è un fatto soggettivo, legato però - nell'ambito approssimativamente che le ho descritto - ad un uso espressivo riscontrabile (e non casuale) da parte dei musicisti, insomma non è un'invenzione gratuita degli storici: se Moazrt decide di usare il mi bemolle (massonico, icacstico, ieratico ecc. ecc ecc. ecc. lo fa a ragion veduta e infatti ad esempio l'incipit del Flauto magico e pensi a certi passi solenni o l'aria eroica di Tamino, mentre per Papageno usa un più popolaresco fa maggiore (come Beethoven per la Pastorale) per la mite e melanconica Pamina usa un mesto sol minore (e così nella Sinfonia n° 40... che vira però verso il tragico...)

Ovvio che in un semplice programma di sala non c'è spazio per raccontare l'uso storico di una tonalità e allora ci si affida ad un aggettivo con tutto quello che può comportare che possa 'aiutare' ad identificare un colore, una situazione espressiva, con beneficio di verifica e fatta salva la soggettività... che sempre gioca un ruolo nei fatto dell'arte e non nella scienza...

mi fermo, per ragioni di buon gusto. Ma se avrà un momento di tempo, con una tastiera a portata di dita, volentieri proverò a suonarle i brani citati di sfuggita (o più semplicemente provi - se posso permettermi - ad ascoltarli lei stesso, cliccando su you tube) e vedrà che il colore diverso di una stessa tonalità e nel contempo il suo uso espressivo le balzeranno agli occhi (pardon alle orecchie) con una passabile immediatezza.

Con simpatia e cordialità

Lucio Prete scrive: Ho trovato per caso queste discussioni sul concerto del 15 ottobre tenuto da Maria Perrotta al Politecnico di Torino e sono rimasto molto affascinato dai commenti. Il mondo della musica è così speciale e soggettivo che ognuno esprime le proprie convinzioni ed emozioni all'ascolto di un qualsiasi brano e di un qualsiasi interprete. Ma per il concerto del 15 ottobre il programma presentato era straordinariamente importante e nessuno oserebbe dire ''il programma non mi è piaciuto, mi piace di piu Mozart! qui Beethoven è troppo libero!''. Nessuno oserebbe!!! eppure quanti commenti sul povero Beethoven ai suoi tempi, quante delusioni prima di essere finalmente non piu giudicato! Ma per un interprete, in piu dei nostri giorni, non può e non deve essere così . Tutti devono dire, parlare , giudicare, commentare, criticare, apprezzare una interpretazione perchè cosi l' artista cresce, si confronta, e ci potrà forse regalare in futuro la verità, l' emozione, il sogno, l'immortalità. Io ero presente il 15 ottobre e Maria Perrotta ci ha regalato il sogno, l' illusione di attraversare i secoli, l' annullamento del tempo e dello spazio, grazie ad una tecnica di grandissima raffinatezza e grazie a una visione dell' opera che non copia nessuno ma che si nutre della e nella partitura beethoveniana con umiltà e rispetto del testo. Non bisogna avere per forza 80 anni per suonare l' ultimo Beethoven. L' arte ha bisogno di coraggio e idee libere (intelligentemente libere). Ho sentito questo programma suonato da vecchi pianisti e posso dire che a volte è stato sublime, altre volte sono rientrato a case semplicemente rilassato senza bisogno di pulire le orecchie con qualche altra interpretazione. Ma è questo lo scopo dell' arte: evitare di turbare gli animi? Non penso! Maria Perrotta può ''scioccare'', ma solo come tutti i grandissimi artisti disturbano da sempre i nostri sonni 

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